Nel 1825 il musicista bergamasco aveva accettato un contratto annuale come maestro di cappella, direttore della musica e compositore delle opere al Teatro Carolino di Palermo, per soli 45 ducati al mese (la primadonna ne riceveva 517).
Donizetti fu costretto a tale scelta da due eventi imprevisti: la proclamazione romana dell’Anno Santo con la conseguente chiusura dei teatri per dodici mesi e la morte del re di Napoli Ferdinando I.
Nonostante le difficoltà del nuovo ambiente, le incomprensioni con la compagnia di canto, l’orchestra e l’impresario, Donizetti riuscì a dirigere la stagione palermitana.
Per il Teatro Carolino compose l’opera seria in due Atti Alahor in Granata che andò in scena il 7 gennaio 1826 con discreto successo.
– il ritorno a Napoli –
Il 14 febbraio 1826 lasciò Palermo un mese prima della scadenza del suo contratto. A Napoli si stava occupando della ripresa dell’Ajo nell’imbarazzo, col titolo di Don Gregorio. Ai recitativi furono sostituiti i dialoghi parlati e la parte del buffo Don Gregorio fu tradotta in dialetto napoletano. Il successo fu travolgente e l’opera ebbe 235 rappresentazioni nella sola città partenopea.
– l’Elvida –
Il 6 luglio 1826 per la festa del compleanno della regina madre Maria Carolina il San Carlo risuonò delle note della nuova opera donizettiana, Elvida su libretto di Giovanni Schmidt.
L’Elvida non è gran cosa per la verità – scriveva il compositore al maestro Mayr -, ma se li colgo con la cavatina di Rubini e col quartetto, mi basta. Già in sere di gala vi si bada poco.
Così fu e il pubblico, compresa la famiglia reale, si deliziò dei virtuosismi canori del soprano Enrichetta Méric-Lalande, del tenore Giovanni Battista Rubini e del basso Luigi Lablanche.
– Gabriella di Vergy –
Nel giugno del 1826 Donizetti comunicò a Mayr di scrivere un’opera per suo diporto. La Gabriella di Vergy infatti non vide le scene prima del 1869, quando fu rappresentata postuma al San Carlo di Napoli. Composta per suo gusto personale e senza la prospettiva di alcun contratto, l’opera sembra essere quasi un esercizio di drammaturgia musicale. In Gabriella di Vergy si delinea una delle caratteristiche salienti di tutto il teatro donizettiano: la centralità del personaggio femminile. Gabriella è la prima di una galleria di eroine infelici, oltraggiate, accusate di tradimento e votate al dolore, alle quali la morte è già stata preannunciata ancor prima di entrare in scena.